16.05.2018. Le trattorie del piccolo centro della Costiera amalfitana hanno trasformato l’antica colatura di alici in un piatto moderno. Rilanciando l’economia  del borgo. E ora si punta al Dop.

Per quasi mezzo secolo, in quel vicolo incastrato tra le casupole bianche circondate dai terrazzamenti di piante di limoni, hanno “scapezzato” a mano e poi “inzuscato” di sale: un procedimento antico che Gilda Di Martino e la sua amica, perpetua del parroco del paese, avevano appreso dalle madri, che a loro volta avevano imparato dalle loro nonne. Gesti sapienti per trasformare, in pochi mesi, duecento casse di acciughe del golfo di Salerno in colatura di alici.

Quasi un rito, che si consumava tra il 25 marzo, festa dell’Annunciazione, quando le alici raggiungevano la dimensione e la maturazione giusta per finire sotto sale, e il 22 luglio, ricorrenza di Santa Maria Maddalena. Quella salsa di pesce cremosa ottenuta dalla macerazione di strati di alici, erede diretta del sapido Garum degli antichi romani, arrivava sulle tavole di amici, parenti e, soprattutto, del ristorante di famiglia. Oggi, Gilda con l’avanzare dell’età ha passato il testimone, ma la tradizione vive ancora: poche aziende – alcune a conduzione familiare – continuano a macerare e imbottigliare la colatura.

Siamo a Cetara, ex roccaforte araba, e vecchio borgo di pescatori. Le sue case candide affacciate sul mare si raccolgono intorno alla piazzetta con il convento, e dalla spiaggia salgono faticosamente verso la montagna. Camminare qui è come essere a casa di qualcuno: i vicoli in pietra e stretti sono dei vasi comunicanti tra un’abitazione e l’altra; per strada, tra slarghi e botteghe, c’è sempre qualcuno da salutare o con cui parlare. Un paesino di 2000 anime, con una storia di fatica e dignitosa povertà. Poi, a metà degli anni Novanta, le umili alici e la loro colatura hanno fatto il miracolo: un ingrediente fino a quel momento senza valore commerciale, consumato solo in casa e barattato con altri alimenti, si è trasformato in simbolo della cucina moderna.

Nel momento in cui la produzione artigianale stava scomparendo alcune trattorie del borgo hanno iniziato a utilizzarla nei loro piatti. Così la colatura è finita su spaghetti, vermicelli, risotti e filetti di pesce di tutta Italia. I primi a sdoganarla furono Gennaro Castiello e Gennaro Marciante di Acquapazza, a cui presto di aggiunsero Al Convento, San Pietro, Falalella e La Cianciola. Tutte osterie di mare arroccate nell’antico paese del salernitano. La Proloco, e alcune associazioni, hanno fatto il resto, raccontandone la storia. Un lavoro culturale che con il tempo – nel 2003 – ha portato alla nascita del presidio Slow Food e, oggi, alla richiesta del marchio Dop.

Certo, rispetto al passato, la pesca delle alici è profondamente cambiata. A metà del ‘900 – racconta Secondo Squizzato, presidente dell’associazione Amici delle alici – c’erano più di venti imbarcazioni specializzate. Alla fine del secolo scorso se ne contavano una dozzina, mentre oggi sono appena cinque. Le lampare partono di notte e utilizzano ancora il classico cianciolo, la rete circolare. Entro poche ore dalla raccolta finiscono al mercato o nei magazzini delle imprese cetaresi, come Iasa, Delfino, Acquapazza gourmet e Nettuno. Quest’ultima, in particolare, nel piccolo laboratorio di famiglia attivo da tre generazioni, prepara la colatura secondo l’antico procedimento. Diverse aziende che producono filetti inscatolati utilizzano alici di provenienza albanese o greca, ma nel caso delle aziende cetaresi, e della colatura tradizionale, il pesce proviene esclusivamente dal golfo di Salerno, così come previsto dal disciplinare Slow Food. Le acciughe sono decapitate ed eviscerate a mano, e poi sistemate in una piccola botte di legno – il terzigno – a strati alterni di sale e alici. I pesci vengono pressati e il liquido che sale in superficie viene conservato a parte per mesi. La maturazione si conclude tra ottobre e novembre, quando il liquido viene versato nuovamente nel terzigno: la colatura attraverso i vari strati dà alla salsa il meglio delle caratteristiche organolettiche. A dicembre la colatura è pronta.

Il paradosso è che Gilda la colatura non la mangia più. “Ne ha preparata talmente tanta – spiega divertito il marito Gaetano – che ora non riesce più a mangiarla”. Nonostante questo alla vigilia di Natale “a casa nostra c’è sempre lo spaghetto con la colatura di alici”. Una tradizione tramandata innanzitutto ai figli e riproposta nel ristorante di famiglia. A Cetara, infatti, dire colatura di alici significa evocare anche Pasquale Torrente, figlio di Gilda e Gaetano e cuoco dell’apprezzata trattoria Al Convento.

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