Lo scavo in corso alla Schola Armaturarum che subì un parziale crollo ha messo in luce 15 anfore stipate in un deposito così come le avevano lasciate i pompeiani duemila anni fa. Alcune provenivano dall’isola greca, allora famosa per la qualità del vino.

Strano, ma vero, le 15 anfore ritrovate erano appoggiate in una stanza dalla pianta quadrata nella stessa maniera in cui gli stessi pompeiani le hanno lasciate circa duemila anni fa.
Anfore ritrovate dagli archelogi che stanno tirando fuori dal lapillo dell’eruzione del Vesuvio del ’79 dopo Cristo.

In quelle anfore c’era certamente del pregiato vino cretese: Massimo Osanna, il direttore del Parco archeologico di Pompei e le archeologhe Arianna Spinosa e Alberta Mastellone hanno riconosicuto tra i vasi scoperti appunto quelle prodotte a Creta e che gli abitanti dell’isola utilizzavano per spedire il vino di loro produzione in tutto il Mediterraneo.

Chi poteva permettersi vino di qualità? E cosa contenevano gli altri vasi trovati intatti nell’ambiente di servizio della Schola Armaturarum?

“Il prosieguo delle ricerche – spiega Massino Osanna – con gli esperti del nostro Laboratorio di ricerche applicate ci consentirà di capire con precisione cosa contenevano tutte le anfore, sia quelle di produzione locale che quelle che proveniva da fuori come quelle siciliane e quelle spagnole”.

Il tipo di anfore messe alla luce, oltre al vino erano utilizzate per il trasporto di olio e di una salsa di pesce prodotta in Spagna, diversa dal garum che invece si produceva anche a Pompei.

Lo scavo in corso è il frutto di un intervento di messa in sicurezza della Schola Armaturarum, l’edificio che crollò il 6 novembre 2010, suscitando l’indiganzione internazionale per le condizioni in cui erano tenuti gli scavi di Pompei. “Un crollo per assurdo benedetto” dice oggi Osanna, “perché senza quella mobilitazione generale non sarebbe nato il Grande progetto Pompei e l’avvio dei lavori di messa in sicurezza del sito”.

Il progetto del Parco archeologico di Pompei prevede il restauro degli ambienti appena indagati, la realizzazione di una copertura dell’intera Schola, il restauro di affreschi, pavimenti e anfore, e il riposizionamento in situ dei vasi così come sono stati trovati nella logica della musealizzazione diffusa.

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